Titolo: Perché ridurre i cibi cotti.
Autore: René Andreani.
Argomenti: salute, alimentazione, benessere.
Editore: Macro Edizioni.
Anno: 2014.
Voto: 6.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: Macrolibrarsi, Giardino dei libri, Amazon.
Eccoci qui con un nuovo articolo di approfondimento, questo dedicato al libro (libretto, in realtà) Perché ridurre i cibi cotti, scritto da René Andreani nel 2014.
Come al solito, andiamo a estrapolare dal testo oggetto dell’articolo alcune citazioni utili.
Il primo brano proposto ci fornisce qualche numero relativamente ad agricoltura, allevamento e nutrizione degli esseri umani.
“Il bestiame è una fonte d’alimentazione altamente idrovora ed energivora. L’assurdo è che il 40% della popolazione del pianeta per avere la propria bistecca quotidiana sfrutta e fa scempio dell’80% delle risorse cerealicole mondiali. Infatti dal dopoguerra a oggi, negli USA, siamo passati da un consumo di carne pro capite annuo di 85 chili a 120 chili e in Europa da 7 chili a 15 chili.
Per avere un consumo corretto dei prodotti alimentari è necessaria e inevitabile un’inversione di tendenza: da una alimentazione prevalentemente carnivora nel mondo industrializzato e una prevalentemente vegetariana e vegana. Infatti la quota di grano coltivato nel mondo per nutrire le persone è del 20% mentre per nutrire il bestiame è di oltre il 38%.
Circa 1,5 miliardi di ettari (pari al 10% circa dell’area delle terre emerse totale) sono aree coltivate e circa 3,4 miliardi di ettari (pari al 23%) sono aree classificate come pascoli permanenti e praterie.”
Anche il secondo brano ci fornisce qualche cifra, sempre su quantità di cereali e quantità di esseri umani da nutrire: nulla di nuovo sotto il sole, in realtà, son cose che sanno tutti (ma che non tutti hanno già avuto il coraggio di affrontare).
“Quando un manzo d’allevamento è pronto per il macello, ha consumato 1.200 chili di cereali e pesa circa 470 chilogrammi. È importante ricordare che un ettaro di terreno coltivato a cereali fornisce proteine in misura dieci volte maggiore rispetto a un ettaro destinato all’allevamento di carni; i legumi e le verdure possono addirittura fornirne rispettivamente 10-15 volte tanto.
Attualmente la terra potenzialmente adatta alla coltivazione è pari a 4,4 miliardi di ettari. Solo il 36% è coltivato, mentre il 10% sarebbe facilmente arabile e coltivabile. Tuttavia con l’attuale 36% di coltivato, se tutti si alimentassero in modo vegetariano, non sprecando l’attuale produzione di cereali a scopo zootecnico, potremmo nutrire oltre 30 miliardi “teorici” di persone, risolvendo così facilmente il problema della fame nel mondo.
Questa scelta trova l’opposizione delle lobby degli allevatori, trasportatori e macellatori di bestiame, alleati da sempre ai baroni della medicina moderna, padroni della nostra salute, che continuano a consigliare la carne come alimento principe, ricco di proteine “nobili”.”
Passiamo ora al tema centrale del libro: la dannosità della cottura del cibi.
“Tutti i cibi (fatti di materia organica, come noi), se sottoposti a temperature superiori a 42° (come quelle che usiamo per friggere, arrostire, bollire, ecc), subiscono modificazioni termiche irreversibili. Superando i 120° si creano sostanze cancerogene.
Dopo aver rivelato cosa succede nel nostro organismo ogni qualvolta ingeriamo un cibo cotto (di qualsiasi natura, vegetale o animale) e perché gli alimenti crudi debbano considerarsi “vivi” (in altre parole depositari di tutto il corredo vitaminico, proteico, enzimatico, ecc), mentre quelli sottoposti a cottura sono ritenuti “morti”, siccome subiscono trasformazioni chimiche irreversibili che, oltre a impoverirli sul piano bionutrizionale, in alcuni casi generano sostanze cancerogene, bisogna ora aggiungere un dato sicuramente rilevante: sebbene l’uomo faccia cuocere i suoi alimenti da alcune decine di migliaia di anni (mentre per milioni di anni è stato crudista), non ha sviluppato alcun adattamento anatomofisiologico all’alimento cotto, che continua ad essere rifiutato dall’organismo mediante l’azione di rigetto della “leucocitosi digestiva”, cioè l’iperproduzione di globuli bianchi.”
Segue ora un brano sul frutto più famoso del mondo: la mela (se la gioca con la banana, forse).
“Nel Paradiso terrestre causò parecchi guai ad Adamo ed Eva, ma oggi la mela si riscatta, rivelandosi un prezioso scudo per la salute. A confermare il vecchio detto sono i ricercatori, secondo i quali una mela al giorno toglie il medico di torno, specie se si tratta dell’oncologo.
Questo frutto, infatti, è una miniera di polifenoli, antiradicali liberi con attività anti-invecchiamento, ma anche contro le malattie cardiovascolari e soprattutto il cancro.
Può una mela al giorno togliere il medico di torno?
Sì.
Chi l’avrebbe detto che una ricerca scientifica pubblicata su una rivista internazionale negli anni duemila confermasse in pieno l’antico proverbio, frutto della saggezza popolare! Invece è proprio così, con una variante: che al posto della parola “medico” c’è la parola “oncologo”.
I soggetti che non consumavano mele sono stati confrontati con quelli che ne consumavano una e più al giorno. Il rischio di tumore nei consumatori di mele è diminuito del 21% per il cancro al cavo orale, del 25% per il cancro esofageo, del 20% per il cancro del colon retto, del 18% per il cancro della mammella, del 15% per quello ovarico e del 9% per quello alla prostata. Secondo le stime dei ricercatori, dal 20 al 40% dei tumori del tratto digerente in Italia è associabile al basso consumo di frutta e verdura.”
L’ultima citazione estratta da Perché ridurre i cibi cotti confronta l’antica scienza medica tradizionale con la più inesperta e ingenua scienza medica contemporanea.
“Ogni scienza prevede una conoscenza generale e complessiva del settore di cui si occupa.
Così in medicina, la vera arte medica tradizionale (6.000 anni di esperienze e sperimentazioni) esamina la singola persona nel suo insieme “olistico”: energetico, mentale, sociale, emozionale e fisico, basandosi su due concetti fondamentali: la prevenzione e l’auto-guarigione. In tal modo si ha la Scienza della Salute. La Scienza della Salute è un modello di vita proposto da Ippocrate nel IV secolo a.C. e riscoperto dagli americani a metà dell’Ottocento. I suoi principi erano: vis medicatrix naturae (la forza curatrice della natura); primo non nuocere; lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo; la prima digestione avviene in bocca; l’acido è il più nocivo tra gli stati degli umori (condizione acibo-basico dei tessuti).
Al contrario la medicina moderna tecnologica (150 anni di esperienza), perdendo di vista la globalità della singola persona, si occupa soprattutto della specifica patologia, dimenticando che questa è solo un segnale di un malessere molto più complesso del paziente. Questa è la Scienza della Malattia.”
Bene. Abbiamo terminato con il libro Perché ridurre i cibi cotti di René Andreani.
A presto e buona nutrizione a tutti.
Fosco Del Nero
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