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L’essenza della Bhagavad Gita – Swami Kriyananda (approfondimento)

7 Lug 2022 | Induismo, Spiritualità

Product by:
Swami Kriyananda

Reviewed by:
Rating:
5
On 7 Luglio 2022
Last modified:22 Settembre 2022

Summary:

L’approfondimento di oggi è dedicato a "L’essenza della Bhagavad Gita", straordinario libro scritto da Swami Kriyananda.

L’essenza della Bhagavad Gita - Swami Kriyananda (spiritualità)Titolo: L’essenza della Bhagavad Gita (The essence of the Bhagavad Gita).
Autore: Swami Kriyananda.
Argomenti: induismo, religione, spiritualità.
Editore: Ananda Edizioni.
Anno: 2006.
Voto: 9.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: MacrolibrarsiGiardino dei libri, Amazon.

 

L’approfondimento di oggi è dedicato a L’essenza della Bhagavad Gita, straordinario libro scritto da Swami Kriyananda.
Mentre per l’altro commentario della Gita, quello di Swami Prabhupada, nell’approfondimento relativo ho riportato solamente versi dello stesso testo indù, per il libro di Kriyananda procederò al contrario, riportando solo commenti dell’allievo di Paramhansa Yogananda. Questo un po’ per alternare e un po’ come omaggio al magnifico commentario scritto da Kriyananda.

La prima citazione pone le fondamenta, per così dire, evidenziando le varie anime della Gita nonché i possibili sentieri per l’essere umano, ciò al di là che vengano vissuti in modo esclusivo o in modo compenetrato.
“La Bhagavad Gita insegna tutti gli aspetti importanti del sentiero spirituale: quando si agisce, il karma yoga (lo yoga della giusta azione); nel riflettere e nell’applicare il discernimento, il gyana yoga (lo yoga della saggezza e della discriminazione); quando si provano sentimenti ed emozioni, il bhakti yoga (lo yoga della devozione).
C’è comunque un insegnamento fondamentale nella Bhagavad Gita che unisce tutti i sentieri, così come un grande fiume accoglie tutti gli affluenti.”

Un’altra base della Gita, o comunque di questo commentario, è quella per cui il campo di battaglia descritto nel testo indiano è un campo simbolico, ed è il nostro stesso sé interiore: è là che si combatte l’unica guerra.
“La guerra di Kurukshetra simboleggia il combattere e vincere le proprie tendenze malvagie. La “guerra” che viene combattuta, comunque, ha principalmente lo scopo di indirizzare nuovamente verso l’alto nella spina dorsale l’energia che fino a questo momento ha attirato le tendenze che ci attirano verso il basso.
Il flusso ascendente dell’energia la libera da qualunque tendenza possa averla attratta verso il basso nella persona mondana. Ogni sforzo spirituale dovrebbe essere compiuto verso l’assenza di sforzo, verso lo stato in cui “lo sforzo si trasforma in facilità”, come disse Paramhansa Yogananda.”

Segue ora un brano che apparentemente ha poco a che fare con l’antico testo indiano, ma che è utile in senso generale: il percorso spirituale può indossare diverse maschere… e vanno tutte bene, finché conducono alla Verità.
“In ogni religione ci sono diversi “stati d’animo”, per così dire, che son profondamente significativi per alcuni, meno per altri: il malinconico anelito all’eternità espresso nei canti gregoriani; la semplice, pura gentilezza espressa nel buddismo; la devozione gioiosa e potente, ma profondamente personale, nel canto indù; la dedizione ebraica al vivere in armonia con la legge divina; l’eroico abbandono alla volontà di Dio che troviamo nell’islamismo.
Si potrebbe descrivere tutto questo come appartenente al “romanticismo” della religione, per usare una definizione di Yogananda: quello spirito impetuoso con cui il devoto cerca di vivere le verità divine, senza sapere necessariamente che cosa sia la verità.”

Vi propongo ora un brano sui chakra e la direzione delle energie: discensionale o ascensionale.
“Quando l’energia entra nel corpo e discende lungo la spina dorsale, rimane intrappolata, per così dire, nel polo inferiore (che ha come polo opposto l’anahata chakra, nel cuore). Affinché l’energia possa essere innalzata nella spina dorsale, Kundalini deve prima essere “risvegliata”, il che significa che la sua presa sulla coscienza della materia deve allentarsi. La forza di quella presa è determinata dal livello di attaccamento materiale presente nella mente. Il non-attaccamento alla materia rende libera l’energia di elevarsi nella spina dorsale. Nell’attraversare ogni chakra, essa si ritrova bloccata come da una porta “chiusa”, un blocco causato dal flusso dell’energia che scorre verso l’esterno attraverso quei plessi. Mentre sale, Kundalini deve “risvegliare” spiritualmente ogni chakra.
Quando la porta di quel chakra si apre, lascia uscire una nuova onda di consapevolezza e potere spirituale, che accresce la chiarezza della coscienza.”

Segue un aneddoto afferente all’“abbinamento” tra Arjuna e Krishna: il primo, nell’imminente guerra, avrebbe potuto avere a disposizione il potente esercito del secondo… ma ha scelto piuttosto la sua guida e i suoi consigli: non è un raccontino di svago, ma un simbolo della scelta binaria tra materia e spirito, tra Cesare e Dio.
“C’è una bellissima storia che racconta in che modo Krishna sia divenuto l’auriga di Arjuna. Arjuna e Duryodhana, ciascuno per suo conto, si erano recati da Krishna per cercare il suo aiuto nella guerra che stava per cominciare. Poiché Krishna stava dormendo, attesero pazientemente, Duryuodhana seduto orgogliosamente accanto alla testa di Krishna e Arjuna con umiltà ai suoi piedi. Quando Krishna si svegliò, li trovò entrambi lì. Per essere equanime, offrì loro una scelta: l’aiuto del suo intero esercito oppure egli stesso, che non avrebbe preso parte attivamente alla battaglia ma si sarebbe limitato a dare consigli.
Ad Arjuna fu data la possibilità di scegliere per primo, poiché per primo Krishna aveva visto lui al momento del suo risveglio. Arjuna scelse Krishna, anche se questi non avrebbe agito sul campo di battaglia. Duryodhana, il materialista, era felicissimo di avere un intero esercito, del quale egli stesso sarebbe stato il generale.
Krishna divenne così l’auriga di Arjuna. Simbolicamente, il carro rappresenta il corpo umano e i cavalli i cinque sensi. Arjuna invitò il Signore a guidare il carro della propria vita, a tenere le redini dei propri sensi e a decidere la direzione da seguire durante l’incipiente battaglia. Allo stesso modo, anche il devoto deve sempre cercare di vedere in Dio l’unico Autore di ogni sua azione.”

Il brano successivo contiene il consiglio spirituale per eccellenza.
“Vivi nel Sé: sii centrato in esso come nella tua realtà eterna. Ogni altra cosa è semplicemente una danza attorno all’albero di maggio di quel Sé interiore. Non lasciarti coinvolgere da nient’altro. Qualunque cosa fai, sii interiormente libero.
La libertà interiore può essere definita come la virtù morale suprema.”

Affrontiamo ora due concetti assieme: il primo è quello dello sforzo spirituale, che non va mai perduto; il secondo è quello dei desideri, che prima o poi vengono tutti appagati.
“In un brano della Gita, Krishna dà una risposta meravigliosa, colma di speranza, alla domanda di Arjuna “Che cosa ne è di coloro che cadono?”. Già nella stanza che stiamo esaminando, Krishna afferma: “Nessuno sforzo sul sentiero che porta a Dio è mai perduto”. Ciò non equivale a dire che non possano esserci pratiche sbagliate nel servizio a Dio: quando le persone praticano lo yoga (o altre forme di religione) con motivazioni errate o egoistiche, per sviluppare poteri spirituali o per ottenere il controllo sugli altri, devono pagare il prezzo karmico dell’aver dedicato le proprie energie a fini dualistici, e devono accettare le conseguenze dell’aver contrapposto la loro forza a quella degli altri. Tuttavia, dove c’è il puro desidero della verità e di Dio, questa stanza della Gita offre una luminosa rassicurazione per tutti.
Desiderare sinceramente la salvezza, anche solo una volta, significa iniziare il sentiero verso la libertà finale. Tutti i desideri, infatti, devono essere appagati: anche questo desiderio, una volta radicato nel cuore, dovrà condurre alla liberazione.”

La citazione successiva è più lunga, e descrive in chiave metaforica le tre energie del creato: il sattwa guna, il rajoguna e il tamoguna, in ordine discendente. Tutta l’esistenza umana le riflette.
“Ogni onda dell’oceano ha una cresta, una base e una parte intermedia.
La parte più vicina all’oceano rappresenta il sattwa guna, la qualità che ricorda più chiaramente le calme profondità oceaniche. Affinché possa esistere un rigonfiamento nell’oceano, tuttavia, devono sempre essere presenti tutte e tre le parti dell’onda: quella più bassa, più vicina all’oceano; quella intermedia, che si solleva desiderosa di definire se stessa; e quella più alta, o cresta, che agisce come se volesse affermare la propria indipendenza dall’oceano stesso. Anche nel più umile dei santi non possono che esistere ancora queste tre parti della sua onda di manifestazione, poiché ogni cosa manifesta è una mescolanza dei tre guna, o qualità: sattwa, rajas e tamas.
Il tamas, o tamoguna, è quella parte dell’onda della manifestazione che si proietta più lontano di tutte dalla propria realtà fondamentale e che oscura in misura maggiore l’esistenza stessa di quella realtà. In questo senso, le anime spiritualmente più ottenebrate, accecate dall’egocentrismo, credono di possedere una realtà propria, completamente separata dalle altre.
Il rajas, o rajoguna, rappresenta la porzione principale dell’onda: la parte centrale, che dà sostanza all’onda e sostiene la torreggiante arroganza suggerita dalla cresta. Quanto più una persona proietta la sua consapevolezza lontano dalla propria origine in Dio, pavoneggiandosi nel proprio ego e gonfiandolo come un pallone, tanto più si allontana dalla vera fonte di ogni suo potere. Gli egocentrici producono solitamente una grande quantità di “strepito e furia”, ma con il loro stesso orgoglio si separano dalla loro forza interiore riducendola a una piccola cresta, che spesso diventa solo spuma e pertanto si indebolisce. Conosciamo tutti il detto “L’orgoglio precede la caduta”. Via via che un’onda, allontanandosi troppo dalla propria base, perde il potere che la sostiene, finisce per infrangersi. Il tamoguna è ottusità e inerzia: le conseguenze di un ego che ha esaurito la propria forza.”

Ecco subito un esempio dei tre guna.
“‘Il sattwa genera attaccamento alla felicità; il rajas all’attività; il tamas, soffocando il discernimento, sommerge la persona di difficoltà.
Il sattwa guna eleva la coscienza.
Il rajas la mantiene coinvolta nella realtà circostante.
Il tamas la ottenebra a tal punto, che la questione di ciò che è giusto o sbagliato non si pone nemmeno.”

Eccone un altro in relazione all’ambito religioso.
“Vi sono tre, o forse quattro categorie di tradizione religiosa.
La prima, sattwica, contiene quelle tradizioni che mostrano la consapevolezza che Dio può essere realizzato. In queste tradizioni, si venerano i santi. Nell’ambito del rajas si possono distinguere due categorie: quella di sattwa-rajas e quella di puro rajas. Le tradizioni sattwa-rajasiche sono fortemente dedite al comportamento etico. Gli individui che le seguono aspirano alla bontà morale, anche se non alla santità.
Nelle tradizioni più chiaramente rajasiche abbondano le manifestazioni emotive, vengono incoraggiati il canto ad alta voce ed esuberanti esibizioni fisiche, come il rotolarsi per terra o il saltare su e giù in una sorta di estasi di emozioni agitate.
Le tradizioni tamasiche, infine, esercitano un’influenza capace di ottenebrare la mente. Contengono rituali sinistri come il vudù, la magia nera e altri tipi di stregoneria, oltre a pratiche oscure, dall’effetto ipnotico, che vengono usate per invocare le forze del male per scopi malvagi.”

L’ultimo brano estratto da L’essenza della Bhagavad Gita afferisce alle emozioni basse dell’ego e al loro progressivo superamento.
“La paura nasce dal pensiero del fallimento quando si è attaccati al successo.
La rabbia nasce dal desiderio frustrato.
Il risvegliato è al di là di tute le emozioni centrate nell’ego.”

E così abbiamo terminato con L’essenza della Bhagavad Gita di Swami Kriyananda.
Al prossimo approfondimento… per quanto difficilmente sarà all’altezza di questo.

Fosco Del Nero

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