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Il lavoro pratico su se stessi – E.J. Gold (approfondimento)

19 Apr 2016 | Crescita personale, Esistenza

Product by:
E.J. Gold

Reviewed by:
Rating:
3
On 19 Aprile 2016
Last modified:22 Settembre 2022

Summary:

L’articolo odierno è dedicato al libro di E.J. Gold Il lavoro pratico su se stessi, che è una sorta di classico del lavoro su di sé...

Il lavoro pratico su se stessi - E.J. Gold (evoluzione personale)Titolo: Il lavoro pratico su se stessi (Pratical work on self).
Autore: E.J. Gold
Argomenti: evoluzione personale, esistenza.
Editore: Edizioni Crisalide.
Anno: 1989.
Voto: 6.5.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: MacrolibrarsiGiardino dei libri.

 

L’articolo odierno è dedicato al libro di E.J. Gold Il lavoro pratico su se stessi, che è una sorta di classico del lavoro su di sé.
Da esso, valutato positivamente, ho tratto numerose citazioni utili, oltre che per questo stesso articolo, anche per la pagina facebook, anche se la gran parte di esse è sullo stesso tema, ossia l’addormentamento dell’essere umano identificato con la sua macchina biologica.
Andiamo a leggerne alcune tra le tante che mi sono segnato.

Questo è il punto di partenza di Eugene Gold, la prima cosa di cui occorre essere consapevoli.
“Se riteniamo che le nostre macchine siano già sveglie o ci illudiamo di possedere la volontà necessaria a risvegliarle ogni volta che lo desideriamo, allora non possiamo prepararci per il Lavoro, poiché siamo ipnotizzati e completamente schiavi del sé immaginario, che parla in prima persona e che, a torto, chiama se stesso “Io”, dandoci l’illusione di unità.”

Da un lato abbiamo dunque il sonno della macchina biologica… e dall’altro?
“Il sonno della macchina non può produrre alcun cambiamento.
La trasformazione dell’Essere si ottiene solo mediante intensi sforzi, lottando contro la tendenza ad identificarsi con la macchina addormentata.”

Detto dell’addormentamento di fondo, la soluzione sta nell’attenzione-presenza.
“L’attenzione è lo strumento più potente che possiamo usare per produrre lo shock che porta la macchina biologica umana nello stato di veglia.”

Su cosa si può applicare l’attenzione? Ossia, cosa può divenire oggetto di esercizio e di pratica?
“Si può usare praticamente tutto come chiave, se lo si usa volontariamente e coscientemente.
Ammesso che si riesca a trovare una serratura.”

Ed ecco invece cosa produce l’attenzione-osservazione nella macchina.
“Diversamente dall’identità della macchina, il vero sé è al di là della vanità e della cura dell’immagine persona, poiché, pur essendo in questo mondo, non è di questo mondo… a meno che, ovviamente, la macchina addormentata non sia in grado di sedurlo coi suoi sogni.
Quando esprimiamo continuamente pensieri e sentimenti riguardo a tutto ciò che esiste, obbedendo ai condizionamenti della società contemporanea, senza saperlo rafforziamo la vanità e l’amore della macchina per se stessa.
La macchina, niente di più che una “nullità meccanica”, si assoggetta a qualunque stato d’animo insorga in risposta a qualsiasi postura venga assunta, anche per caso, dal centro motorio. Queste riverberazioni emozionali avvengono secondo una sequenza esatta e prevedibile, che segue la legge delle ottave, e noi possiamo osservarle, se comprendiamo questa sequenza automatica e sappiamo dove guardare. In altri termini, possiamo prevederle e seguirle.
In questo modo possiamo iniziare ad esercitare le nostra vera volontà (la volontà di attenzione del sé non fenomenico) sulla macchina. Questo ha due effetti di primaria importanza:
– la macchina, per il semplice fatto di essere osservata, comincia già leggermente a cambiare, in virtù della presenza dell’osservatore,
– l’atto di osservare la macchina permette l’attivazione della fonte di attenzione, che a sua volta attiva i centri superiori, che divengono il nucleo dei corpi superiori, attraverso i quali potremo esperire le dimensioni sottili.”

Ma attenzione, perché la “dieta mentale” può essere affiancata dalla più comune “dieta fisica”, e l’una via non esclude l’altra, e anzi lavora meglio in coabitazione.
“Possiamo purificare il nostro sé organico attraverso il digiuno e l’eliminazione delle sostanze tossiche.
Ma abbiamo anche la possibilità di digiunare in un senso molto diverso, come facevano un tempo i discepoli dell’antica dottrina: possiamo imparare a non “nutrirci” più delle indesiderate apparizioni delle manifestazioni inconsapevoli delle emozioni negative.”

Leggiamo ora una sorta di manifesto delle idee di base propugnate dall’autore americano.
“Siamo condizionati ad identificarci con la macchina addormentata e a permetterle di continuare meccanicamente il suo sonno. Presto impariamo a convincerci di essere qualsiasi cosa la macchina diventi nella sua ripetitiva routine.
Lo stato di identificazione, in questo caso, non è solo un semplice attaccamento emotivo, ma arriva a impedirci di riconoscere le differenze fra noi stessi e l’oggetto col quale ci identifichiamo. Fino ad ora, ci siamo sempre identificati in tutto e per tutto con la macchina biologica umana, al punto da non essere più in grado di distinguerci da essa.
Una macchina addormentata può essere usata anche per vincere il suo stesso sonno, perché ha delle sensazioni: possiamo usarle per sentire il sonno della macchina. Questa idea, semplice in modo disarmante, messa in pratica sotto forma di esperimento, ci permette di comprendere la profonda verità delle seguenti affermazioni:
– la macchina biologica umana è veramente addormentata, e può a buona ragione essere chiamata “il morto che cammina”,
– è possibile vedere e, in parte, anche sperimentare, cosa può essere la vita quando la macchina non è addormentata,
– è possibile svegliare la macchina solo con dei precisi metodi non ordinari,
– iniziare il nostro lavoro spirituale mediante il risveglio della macchina è un urgente necessità,
– solo noi stessi possiamo risvegliare la nostra macchina,
– a questo fine, avremo bisogno di una nuova e sconosciuta sorgente di forza: energie e volontà molto maggiori di quelle alle quali, nel momento presente, siamo abituati ad attingere, nella macchina e in noi stessi,
– il lavoro è una cosa reale, e non solo un’interessante filosofia,
– il tempo che abbiamo a disposizione per una possibile evoluzione scorre via molto velocemente e, una volta passato, non potrà essere recuperato,
– c’è una precisa scadenza per il nostro lavoro, e se perdiamo questa opportunità ora, in futuro potremmo non essere più in grado di coglierla.”

E chiudiamo l’articolo su Il lavoro pratico su se stessi con altre due citazioni.
La prima riguarda la classica contrapposizione tra il servizio a sé e il servizio agli altri.
“Se davvero volete dare un senso alla vostra vita, allora dovrete dedicarla al Lavoro per il bene superiore.
Se vi limitate al vostro misero tornaconto, otterrete davvero molto poco.
La sola valida tecnica ai fini dell’evoluzione consiste nel dedicare gli effetti benefici del lavoro per la trasformazione del vostro Essere non a voi stessi, ma all’Assoluto, il che equivale a dire a tutti gli altri Esseri.”

La seconda e ultima riguarda… la morte.
“Non potrete mai essere contenti della vostra esistenza se non ne vivrete la fine in modo soddisfacente.
Morire vuol dire andare oltre qualcosa che non si ripeterà mai nello stesso esatto modo. Tutti i maggiori filosofi hanno dato un’enorme importanza alla loro ultima ora di vita. vi darò lo stesso esercizio che hanno usato loro per essere pronti al momento del loro addio alla Terra. Fate attenzione ad eseguirlo parola per parola.
Guardate l’ora che avete appena trascorso come se fosse stata l’ultima della vostra vita sulla Terra, come se vi accorgeste solo adesso di essere effettivamente morti.
Per prima cosa, chiedetevi se siete soddisfatti di come l’avete passata.
Ora, tornate al normale scorrere della vostra vita organica e ponetevi il preciso obiettivo di estrarre dalla prossima ora di vita – se vi rimane abbastanza da vederla – un po’ di qualità in più rispetto all’ora precedente. Stabilite di risvegliare la macchina biologica ancora un po’ di più, di avere un po’ più di presenza nel presente, un po’ più di fuoco interiore.
Ora aprite gli occhi leggermente più di prima, il che vuol dire: risvegliate la macchina e immergetevi nei suoi effetti trasformazionali… siate un po’ più audaci di quanto lo siete stati nell’ora precedente. Ora che sapete di dover morire e di non aver niente da perdere, potete osare di esser coraggiosi.”

E con questo abbiamo terminato con Il lavoro pratico su se stessi di E.J. Gold.
Al prossimo articolo di approfondimento e buone cose a tutti.

Fosco Del Nero

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