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Respirazione olotropica, teoria e pratica – Stanislav Grof, Christina Grof (approfondimento)

16 Dic 2019 | Benessere personale, Respirazione, Salute

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Stanislav Grof, Christina Grof

Reviewed by:
Rating:
2
On 16 Dicembre 2019
Last modified:22 Settembre 2022

Summary:

Eccoci qui con l’articolo di approfondimento dedicato al libro Respirazione olotropica, teoria e pratica, scritto da Stanislav Grof e Christina Grof.

Respirazione olotropica, teoria e pratica - Stanislav Grof, Christina Grof (sapprofondimento)Titolo: Respirazione olotropica, teoria e pratica (Holotropic breathwork).
Autore: Stanislav Grof, Christina Grof.
Argomenti: respirazione, crescita personale, salute, benessere.
Editore: Urrà Edizioni.
Anno: 2010.
Voto: 5.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: MacrolibrarsiGiardino dei libriAmazon.

 

Eccoci qui con l’articolo di approfondimento dedicato al libro Respirazione olotropica, teoria e pratica, scritto da Stanislav Grof e Christina Grof.
Questa volta l’articolo di approfondimento è stato molto semplice da comporre, dal momento che mi ero segnato pochissimi brani.
Non perché il testo sia inutile, giacché è molto utile per coloro che sono interessati a praticare la respirazione olotropica, ma perché è assai avaro di ciò che ci interessa, ossia frasi dal contenuto e dal valore esistenziale.
Tuttavia, ho estratto comunque qualcosa di utile a tal scopo.

La prima citazione sintetizza il fatto che molte tradizioni spirituali, per non dire tutte, hanno accostato o perfino parificato l’uomo all’essenza divina.
“Gli stati olotropici di coscienza hanno la capacità di aiutarci a riconoscere che noi non siamo semplici ego incapsulati nella nostra pelle e che, in ultima analisi, siamo commensurabili al principio creativo cosmico stesso. O che, per usare la definizione nel filosofo francese Pierre Teilhard de Chardin, “non siamo esseri umani che hanno esperienze spirituali, spiamo esser spirituali che hanno esperienze umane”.
Questa idea sorprendente non è del tutto nuova. Nelle antiche Upanishad indiane, la risposta alla domanda “Chi sono io?” è “Tat tvam asi”, succinta sentenza sanscrita che significa letteralmente “Tu sei quello”, o “Tu sei la divinità”, suggerendo che noi non siamo Namarupa, mente e corpo, ma che la nostra identità più profonda è situata in una scintilla divina all’interno del nostro essere più intimo (Atman), che è definitiva identico al principio supremo universale (Brahman). E l’induismo non è l’unica religione ad aver fatto questa scoperta. La rivelazione che riguarda l’identità dell’individuo rispetto al divino è l’estremo segreto che giace nel cuore mistico di tutte le grandi religioni spirituali. Il nome di tale principio può quindi essere Tao, Buddha, Cristo cosmico, Allah, Grande Spirito, Sila o molti altri.
Le esperienze olotropiche sono potenzialmente in grado di aiutarci a scoprire la nostra vera identità e il nostro status cosmico.”

Secondo brano, discretamente lungo: parliamo dell’etimologie antiche vicine ai concetti di respiro, soffio vitale, vita.
“Nelle società arcaiche e preindustriali, il respiro e la respirazione hanno giocato un ruolo particolarmente importante nella cosmologia, nella mitologia e nella filosofia, ma sono stati anche uno strumento di rilievo nelle pratiche rituali, spirituali e di guarigione. Le tecniche di respirazione sono state impiegate, in molti periodi storici e in molte culture diverse, per indurre stati olotropici di coscienza a fini religiosi o terapeutici. Dagli albori della storia, quasi ogni importante sistema psicospirituale che ha cercato di comprendere la natura umana ha visto il respiro come un collegamento cruciale tra il mondo materiale, il corpo umano, la psiche e lo spirito. un dato che si riflette chiaramente nelle parole che in molte lingue vengono usate per “respiro”.
Nella letteratura indiana antica, per esempio, il termine “prana” non significava soltanto aria e respiro a livello fisico, ma anche l’essenza sacra della vita. in modo simile, nella medicina tradizionale cinese, la parola “chi” si riferisce, oltre che all’aria che immettiamo nel corpo attraverso i polmoni, all’essenza cosmica e all’energia vitale. In Giappone, il termine corrispondente è “ki”. Il ki gioca un ruolo di estrema importanza nelle pratiche spirituali e nelle arti marziali giapponesi. Nell’antica Grecia, la parola “pneuma” significava sia aria e respiro sia spirito o essenza vitale. I Greci consideravano anche il respiro strettamente correlato alla psiche, tanto che il termine “phren” era utilizzato per indicare sia il diaframma, il più grande muscolo coinvolto nella respirazione, sia la mente (come risulta evidente nel termine “schizophrenia”, letteralmente “mende divisa”). Nell’antica tradizione ebraica, il termine “ruach” era usato per descrivere tanto il respiro quanto lo spirito creativo, considerati identici. La citazione che segue, dal libro della Genesi, mostra la stretta relazione tra Dio, respiro e vita: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente”. In latino il respiro e lo spirito avevano lo stesso nome: “spiritus”. Analogamente, nelle lingue slave, i due concetti condividono la stessa radice. Nella medicina e nella tradizione hawaiana autoctone, il termine “ha” indica lo spirito divino, il vento, l’aria e il respiro. lo troviamo nel popolare saluto hawaiano “aloha”, un’espressione usata in molte occasioni e contesti diversi. In genere, viene tradotta come “presenza del respiro divino”. Il suo contrario, “ha’ole”,che letteralmente significa “senza fiato” o “privo di vita”, è un termine che gli indigeni hanno applicato agli stranieri di pelle bianca fin dall’arrivo dell’infame capitano britannico James Cook nel 1778. Gli sciamani hawaiani kahuna, “custodi del segreto”, usano gli esercizi di respirazione per generare energia spirituale (mana).”

Il terzo brano spara sulla Croce Rossa, e sintetizza in modo umoristico la differenza tra il trattamento medico del sintomo e della causa… fatto di cui siamo sicuri che prima o poi si renderanno conto anche i dottori.
“La differenza tra un trattamento sintomatico e uno causale si può illustrare con l’esperimento di immaginazione che segue. Immaginiamo di guidare una macchina. Non sappiamo molto di come funziona, ma sappiamo che se sul cruscotto si accende una luce rossa siamo nei guai.
Improvvisamente ne appare una; anche se non lo sappiamo, indica che abbiamo quasi finito l’olio. Portiamo l’auto dal meccanico per sapere cosa succede. Lui guarda il cruscotto e dice: “Una luce rossa? Nessun problema!”. Strappa il filo elettrico che la collega, la luce rossa sparisce e ci rimanda in strada.
La persona che “risolve” il problema in questo modo non è esattamente l’esperto che vorremmo per aiutarci. Abbiamo bisogno di qualcuno che intervenga in modo da far sì che il segnale non abbia alcuna necessità di apparire, non di uno che renda impossibile la sua apparizione senza occuparsi del problema che l’ha prodotta.
Il parallelo tra questa situazione e la limitazione della terapia del disagio emotivo e psicosomatico alla soppressione farmacologica dei sintomi risulta ovvio.”

Penultimo brano: il famoso wu wei, l’agire senza agire, l’inserirsi nel flusso della vita.
“Un’autoesplorazione responsabile e concentrata può aiutarci a superare il trauma della nascita e a creare un profondo collegamento spirituale. Questo ci fa muovere nella direzione di ciò che i maestri spirituali taoisti chiamano “wu wei” o “quiete creativa”, che non è un’azione che comporti un ambizioso sforzo determinato, ma un “fare nell’essere”. La stessa cosa viene talvolta chiamata “il corso dell’acqua” perché imita il moto dell’acqua in natura. Invece di concentrarci su un obiettivo predeterminato, cerchiamo di sentire in che modo si muovono le cose intorno a noi e come possiamo integrarci al meglio in quel movimento. È anche la stessa strategia utilizzata nelle arti marziali e nel surf. Richiede un’attenzione dedicata al processo più che all’obiettivo o al risultato.
Quando riusciamo ad accostarci alla vita in questo modo, realizziamo molto di più con uno sforzo minore.
In più, le nostre attività cessano di essere egocentriche, esclusive e competitive come sono invece quando perseguiamo obiettivi personali, per diventare inclusive e sinergiche. Il risultato non ci porta soltanto soddisfazione come individui, ma è utile anche per l’intera comunità.”

E andiamo a concludere con una frase breve sull’illusorietà di confini e separazioni.
“Tutti i confini nell’universo sono arbitrari e a un livello più profondo tutto il creato rappresenta una rete cosmica unificata.”

Abbiamo terminato con Respirazione olotropica, teoria e pratica di Stanislav Grof e Christina Grof.
Al prossimo approfondimento e nel mentre buona respirazione a tutti.

Fosco Del Nero

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